Il giorno dopo la sfuriata di Elkann: silenzio e sconcerto in Ferrari

Che cosa resta il giorno dopo la sfuriata del presidente Elkann contro i piloti Ferrari?

Restano le risposte via social dei piloti, i titoli abbastanza critici dei quotidiani, la valanga di disappunto volata via social e l’irritazione dei tifosi che sono tanti, tantissimi. Unite i social di Ferrari (19,7 milioni solo la Scuderia su Instagram), Hamilton (41,6) e Leclerc (21,2) e avrete un numero che pochi possono raggiungere, L’eco mediatico è stato devastante ed è inutile aggiungere che la maggior parte della gente sta con i piloti, contro le frasi del presidente. (Nel mio piccolo, il mio sondaggio Instagram dà il 91% di ragione ai piloti)

Ma soprattuto resta un bel silenzio. Ufficialmente a Maranello nessuno dice nulla, ma sarebbe bello essere una mosca in mensa tra i ragazzi (e le ragazze) del reparto corse…

Elkann attacca Hamilton. Ma sbaglia ancora una volta bersaglio. Le colpe sono di altri

Hamilton aveva detto: “Io appoggio la mia squadra. Non mi arrenderò. Non ora, non dopo, mai”.

Leclerc aveva aggiunto: “E’ chiaro che l’unica cosa che ci possa far svoltare nelle ultime tre gare è stare uniti”. Una frase a cui i tifosi hanno risposto: “Dillo al tuo presidente, solo uniti si vince”.

Che cosa abbia spinto il presidente Elkann a dire quelle frasi un giorno dopo il successo del Mondiale Endurance e in un contesto come quello del CONI in cui avrebbe dovuto parlare di tutt’altro, non è chiaro.

L’impressione mia è che, arrabbiatissimo dopo l’ennesima figuraccia in Formula 1, abbia chiamato Vasseur e si sia sentito rispondere con l’ennesima favoletta del team principal francese, uno bravissimo nello scarica barile. Vasseur avrà dato la colpa ai piloti come ha già fatto in altre occasioni e Elkann gli ha creduto formulando quell’attacco senza precedenti a Hamilton (e Leclerc) e difendendo l’uomo che è il maggior responsabile della disfatta in Formula 1.

Un presidente può incazzarsi con i piloti. E’ un suo diritto e anche una suo dovere. Ma oltre a doverlo fare in privato, dovrebbe farlo quando c’è un motivo. Dopo il Brasile non ce n’erano più di altre volte. E a tutti è chiaro come le colpe siano della SF-25 e non dei piloti.

C’era una volta in cui il presidente della Ferrari prendeva un aereo privato e volava fino a Jerez a difendere un suo pilota, anche se era indifendibile e anche se la Fia lo avrebbe poi punito. Questo vuol dire essere uniti. Questo vuol dire fare squadra. Poi in privato vi assicuro che quel presidente usò altri toni con Michael… Ma anche con certo gesti che si comincia a costruire una squadra destinata a durare nel tempo e a vincere. Ma quella era una Ferrari in cui Jean Todt era arrivato a offrire le proprie dimissioni.

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umberto zapelloni

Nel 1984 entro a il Giornale di Montanelli dove dal 1988 mi occupo essenzalmente di motori. Nel gennaio 2001 sono passato al Corriere della Sera dove poi sono diventato responsabile dello Sport e dei motori. Dal marzo 2006 all'aprile 2018 sono stato vicedirettore de La Gazzetta dello Sport

1 commento

  1. Jean Todt, Montezemolo, Schumaker: sono stati o sono diventati mostri sacri. Hanno scritto pagine di storia dell’automobilismo. E’ persino irriverente nei loro confronti nominare Vasseur e Elkann: Carneade, chi sono costoro?

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